Il Diario dell’Argonauta. 19 - Montalbano, Brancaleone e i fratelli maggiori onnivori
- Cultura Spettacolo
Ma torniamo al personaggio di Andrea Camilleri. Mia moglie mi ha spesso paragonato a Montalbano per il comune “carattere fituso”. Nella puntata finale della serie, il commissario, stanco e invecchiato, perde la testa per una collega molto giovane, sancendo il tradimento alla storica fidanzata Livia, durante una telefonata poco onorevole, reticente e vigliacca. Mia moglie, che pure non ha mai amato il personaggio di Livia (e l’ultima interprete), è insorta (pare come molte donne), prendendosela col primo cinquantenne a portata di mano, l’incolpevole sottoscritto, “minacciandomi”, in caso di cadute in tentazione, di punizioni in stile Lorena Bobbitt...
Ho interpretato la caduta sentimentale di Salvo come epifenomeno della crisi di una generazione, la mia, invecchiata senza accorgersene, in attesa che gli onnivori “fratelli maggiori” lasciassero strada. Abbiamo trovato solo macerie e debiti.
Brancaleone, l’eroe di due capolavori di Monicelli, che vedevo nei momenti di dubbio mentre corteggiavo mia moglie, racconta all’amata Matelda la sua storia, che coincide, a mio parere, con quella della mia generazione:
“Lo patre mio, barone di Norcia, morette quando io era in età di anni nove.
Mia madre riandette a nozze con uno malvagio, lo quale avido dei beni miei mi consegnò ad uno sgherro, homo di facile pugnale, acché mi uccidesse. Ma non lo facette.
Arrivato all’età degli anni venti mi appresentai allo castello per reclamare il mio, ma infrattanto matre et patrigno si erano morti dopo aversi scialacquato cose ed ogni bene.
Tanto che quando io dissi: ‘Brancaleone sono, unico legittimo erede di ogni cosa che avvi’, lo capitan de' birri gridò: ‘Bene, e tu pagherai li debiti!’ ”.